“Dobbiamo immaginare la vita come una trama formata da sistemi viventi (reti) che interagiscono con altri sistemi viventi (reti)”. Fritjof Capra 1
Non una semplice questione botanica.
Suzanne Simard conosceva le foreste del Canada molto prima di iscriversi alla University of British Columbia e diventare professoressa di ecologia forestale. Nata e cresciuta in una famiglia di coloni boscaioli, ha passato tutta la sua infanzia e adolescenza tra gli alberi assistendo al passaggio inesorabile da un’economia del legno ancora attenta all’equilibrio della foresta (con abbattimenti selettivi che preservavano l’habitat) al disboscamento industriale a scopo commerciale. Ha visto intere foreste venire sostituite da piantagioni geometriche di monoculture (Abete Douglas, il più redditizio) spogliate del sottobosco nella convinzione - che anche grazie a lei oggi sappiamo essere errata - che eliminando la concorrenza, ovvero gli alberi autoctoni vicini e le specie diverse (in quel caso la Betulla della carta e il Cedro rosso occidentale), gli esemplari coltivati sarebbero cresciuti più rigogliosi. Invece erano più vulnerabili al clima e ai coleotteri, quindi si ammalavano di più e morivano prima.
Ingenuamente viene da dire che sarebbe stato sufficiente osservare la Natura per sapere che non avrebbe funzionato. O forse non è così ingenuo dirlo, se la Simard non perde occasione di ribadire che la saggezza dei nativi delle First Nation che popolano il Canada è stata fondamentale per le sue ricerche e per la comprensione di cosa siano le foreste; di cosa faccia loro bene e di cosa faccia loro male. E i nativi canadesi chiamano il Cedro Rosso “albero della vita” per i benefici che porta all’ecosistema.
Questo contenuto è riservato agli abbonati.
Accedi o Abbonati a Mycelica per continuare a leggere.