Adottiamo animali, adottiamo persino boschi per salvarli. Ma non siamo forse noi i veri orfani e loro la famiglia a cui fare ritorno?
“E cosí ho deciso: non tornerò piú in città.
Resto con la natura, non solo dalla sua parte ma proprio insieme a lei. Qui c’è il bosco e ogni giorno lo frequento, come si dice «frequenta la chiesa, o la sinagoga».
Sono passati nove mesi, è autunno inoltrato. Ora non solo parlo con gli alberi, ma gli alberi mi rispondono. Vado nel bosco a imparare a camminare sola, senza pensieri, a guarire le ferite, ma certe volte porto dentro di me anche altri, per farli guarire insieme a me. Il bosco guarisce senza che si debba fare niente, ti include, ed essere un pezzetto di qualcosa di piú grande fa entrare in una misura che distribuisce farmaci senza nome: e si diventa anche noi senza nome, si perde la buccia, e la leggerezza del cuore è il primo segno di guarigione…”
Chandra Livia Candiani, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, Einaudi 2021

“Li incontro dopo aver traversato una pianura bruciata dal sole. Non abitano lungo la strada, per via del rumore. Abitano in mezzo ai campi incolti, accanto ad una fonte nota solo agli uccelli.
Di lontano sembrano impenetrabili. Come mi avvicino, invece, i tronchi si disserrano. Mi accolgono circospetti: posso riposarmi, rinfrescarmi, ma indovino che mi osservano con diffidenza.
Vivono in famiglia: i più vecchi in mezzo, e i piccoli, quelli che mettono appena le prime foglie, qua e là, tutto intorno, senza allontanarsi. Son duri a morire, e i morti li conservano in piedi fra loro, finchè cadono in polvere.
Si carezzano coi lunghi rami per assicurarsi di esserci tutti, come i ciechi. Si sbracciano in gesti di collera, se il vento soffia da sradicarli. Ma non litigano mai tra di loro. Mormorano tutti insieme, d’accordo.
Sento che questa sarebbe la mia vera famiglia: l’altra sarebbe presto dimenticata. Questi alberi mi adotteranno a poco a poco, e per meritarlo imparerò ciò che bisogna sapere.
Già so guardare le nuvole che passano: già so stare fermo e ho quasi imparato a tacere”.
Jules Renard (1896), Storie naturali, Elliot 2013
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