Orecchio a terra, possiamo tornare a sentire. Conosciamo quella lingua, il dna non cancella: silenzia. Tornare a sentire è tornare a casa, finalmente.
Che cos’è un sé?” chiese l’albero
che per tutto il tempo condivideva
il sostentamento da e verso
una profonda comunità
di radici.
“Che cos’è un individuo?” chiese il tronco,
felicemente decomponendosi
in cibo
per nutrire gli altri.
“Che cos’è l’identità?” chiesero le foglie,
un tempo parte della grande
nobile quercia,
ora contente
di svolazzare giù e cibare
il suolo della foresta.
“Che cos’è la separazione?” chiese l’ecosistema.
“Nessuna parte di noi nemmeno esiste
l’una senza l’altra”,
“Cos’è l’ambizione?” chiese il fiore,
“Se non aprirmi completamente
alla luce
e servire il rigoglìo
del Tutto?”
Chelan Harkin, poetessa

“Siamo interconnessi al suolo, alle rocce, all’acqua, all’aria, alle piante e agli animali e questo si traduce in una porosità e permeabilità dei confini tra il nostro corpo e il nostro ambiente (…). Quando si parla ad esempio di piante, nella cultura hawaiana si usa il termine poe, tradotto dal dizionario della lingua hawaiana come popolo, gente; si parla di “persone taro” e di “persone banane”, riconoscendo alle piante una soggettività collettiva, indicate come popolo sempre al plurale. (…). Le Hawaii sono uno dei tanti casi in cui il concetto di umanità e persona viene attribuito al mondo animale, vegetale e minerale. (…)
Il pensiero Kanaka Maoli, come quello amazzonico, propone di riconoscere la categoria di persona e di conseguenza di umanità a ogni essere che occupa la posizione di oggetto cosmologico, in questo modo ogni organismo è visto come appartenente a un luogo, coinvolto in una rete di relazioni con un proprio punto di vista”.
Emanuela Borgnino, antropologa. Tratto da Ecologie Native, Elèuthera
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