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La terra e me: da corpo a corpo

In fondo è tutta una scusa per poter parlare di lei: la terra. Di come noi siamo lei. E niente sa dirlo meglio della poesia.

“Pensavo che la terra si ricordasse di me, lei

mi ha ripreso così teneramente, sistemando

le sue gonne scure, le tasche

pieno di licheni e semi. Ho dormito

come mai prima d’ora, una pietra

sul letto del fiume, niente

tra me e il fuoco bianco delle stelle

tranne i miei pensieri, e fluttuavano

leggeri come falene tra i rami

degli alberi perfetti. Tutta la notte

ho sentito respirare i piccoli regni

intorno a me, gli insetti, e gli uccelli

che fanno il loro lavoro nell’oscurità. Per tutta la notte

mi alzavo e ricadevo, come fossi in acqua, lottando

con un destino luminoso. Al mattino

ero svanita almeno una dozzina di volte

in qualcosa di migliore”.

Mary Oliver, Twelve Moons, Back Bay Books, 1979

“Ancora ti prospera il fogliame intorno al cuore
e una fresca presa di sale
impregna il tuo sguardo.
Di me nessuno vuol sapere,
di chi io sia la spezia
e di quale amore la durata.
Spesso canta il lupo nel mio sangue
e allora l’anima mia si apre
in una lingua straniera.
Luce, dico allora, luce di lupo,
dico, e che non venga nessuno
a tagliarmi i capelli.
Mi annido in briciole straniere
e sono a me parola sufficiente.
Effimero, mi dico,
perché presto cesserà ogni annidare
e scorre via il resto di ogni ora”.

Mariella Mehr (a cura di Anna Ruchat), Ognuno incantenato alla sua ora, Einaudi 2014


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