Entrare in una fiaba non è diverso dall’entrare in un fitto bosco. Non sembra esserci sentiero, il sentiero si fa man mano eppure a voltarsi indietro è sempre stato lì. E bastano le prime parole, i primi dettagli, per essere già lontani da casa – il conosciuto – e accorgersi che a guidare non è più la mente riflessiva ma un’intelligenza arcaica e viscerale. Neurovegetativa.
Quest’intelligenza si muove nelle fiabe come nel bosco: recettiva, all’erta, pronta a cogliere suoni e leggere silenzi. Baricentro basso, udito spalancato, piedi scalzi, mani pronte ad afferrare il senso. Non c’è radar migliore quando si cammina nei meandri dell’anima, dove luce e buio vivono abbracciati nonostante i nostri tentativi di separarli.
I cammini narrativi proposti da Roberta Schembri nella sua Erboristeria Narrativa aiutano a curare una ferita che il principio del “similia similibus curantur” sa come medicare. Quella possibilità di alternanza fluida tra dionisiaco e apollineo che spesso si irrigidisce e frattura: da una parte il tiranno reggente – il razionale che domina dal suo attico emisferico del pensiero logico e sinistro; dall’altra il ribelle esiliato, l’irragionevole, perturbante, creativo, caos vitale.
In un’immagine: aiuole geometriche contro foreste amazzoniche.
Naturalmente questa frattura è nello sfondo collettivo, ma prende una sua forma unica, spesso psicosomatica, in ogni genealogia, ogni famiglia, ogni individuo. Servono allora degli alleati, esattamente come nelle fiabe, e quali se non le intelligenze vegetali, con cui ci curiamo dalla notte dei tempi? Dall’incontro tra il sapere fitoterapico e gli archetipi che la coscienza collettiva ha nascosto nelle fiabe, Roberta estrae la vis medicatrix dei suoi fitoarchetipi; e come le guaritrici che un tempo andavano da un villaggio all’altro con borse di erbe e unguenti, lei va raccontando di fiabe, boschi e regni.
Dioniso, dicevamo. Richiamarlo dall’esilio e restituirgli dignità, fargli spazio dentro, all’inizio può persino essere doloroso. Da quella botola risalgono parti di noi che si sentono, giustamente, abbandonate. Hai voglia spiegare loro che lo abbiamo fatto per sopravvivere: prima va sentito il dolore di quella sperazione, poi si può fare pace e provare a regnare insieme.
Ma questa è un’altra fiaba.